Quello che mi ha sempre fatto paura del matrimonio e della convivenza in generale è l'abitudine. È quella, a parere mio, che rende tutto il resto difficile, che mostra il lato peggiore di noi stessi e mattone dopo mattone crea muri ancora più alti di quanto non lo siano già le difficoltà di ogni giorno.
Parlo di difficoltà oggettive come far quadrare i conti e soggettive che possono andare da un'iniziale innocua incomprensione ad un qualcosa di ancora più stupido come una qualsiasi recriminazione fatta in un momento di nervosismo.
Quando si è fidanzati, quando ci si vede per uscire, per vedere un film o anche per fare una vacanza insieme, la prospettiva è -giustamente- differente: anche in questi casi il momento no può esserci, ma normalmente si tende a passare su certe cose per non rovinare il momento, per far si che quelle che ci sembrano poche ore insieme, non possano essere ricordate per un litigio, magari stupido.
Fondamentalmente poi, sono stata sempre una persona chiusa, una a cui piaceva star da sola, che non ha amato le amicizie pressanti, gelose. Di conseguenza lungi da me un rapporto con un compagno possessivo. Questo forse dipende dal fatto che specialmente in un uomo ho cercato la sicurezza. Non il padre sia beninteso (sebbene mi si accusi di avere uno spiccato complesso edipico, o di Elettra nel mio caso), ma qualcuno che sia fondamentalmente leader e che non viva le sue insicurezze (quindi le gelosie) a ridosso di una donna.
L'ing. è il giusto equilibrio: fondamentalmente è un "capo", ma lo è con discrezione; sa quando è il momento di ritirarsi e soprattutto se non è sicuro di qualcosa rimane sulle sue. Si mostra appena appena geloso più per stimolare la mia vanità che per un suo reale bisogno.
Ma l'ing. non è perfetto, come non lo è nessuno, come non lo sono io. Sono una perfettina, una rompiscatole per dirla più chiaramente, ma sono anche fortemente insicura. In questo nuovo ruolo di donna di casa (il mio inutile curriculum è nei database di qualsivoglia agenzia, ma dubito riesca ad arrivare anche solo alla scrivania di qualche addetto al personale) cerco di dare il meglio, ma è chiaro che non sempre mi riesce. E capita che lui mi prenda in giro per queste cose. Lo fa bonariamente, ma non si è arrabbiato nemmeno quando, da fanatico della camicia quale è, le prime volte si ritrovava con pieghe fatte da questa mano inesperta con il ferro da stiro.
Il mio voler essere perfetta, il pensare che in fondo ho solo una casa da gestire e non riuscire a farlo nemmeno a modo, mi manda(va) in tilt. Capita ancora oggi che prenda male i suoi "siparietti" per poi vergognarmi come una ladra.
La mia vergogna è data dal volere per lui il meglio e non poterglielo dare e viene alimentata dal fatto che sia il primo poi a cercarmi, coccolarmi e rassicurarmi.
Per non parlare di quando lo vedo pensieroso o addirittura triste e non mi riesce di sollevarlo dai suoi pensieri.
Eppure.
Eppure mi capita, maggiormente in questi giorni, di fermarmi a guardare qualche sua foto quando lui non c'è o di guardarlo quando non se ne accorge o quando inizia a sonnecchiare sul divano e davvero tutto si fa più chiaro. Mi batte il cuore e mi accorgo di aspettare il suo ritorno con ansia, mi rendo conto che allora è vero, che siamo insieme. Che quello che aspettavo da anni adesso è qui, lo sto vivendo. Stiamo vivendo insieme. Che son passati i tempi del 56k e delle sue traversate con il treno, della nostra prima vacanza di quattro giorni a Civitella Alfedena, del "ci vediamo tra due settimane" e di tutto il resto.
Sono passati solo poco più di due mesi ed il mio pessimismo mi ricorda di non darmi troppo alla pazza gioia, di non esternare con troppa convinzione qualcosa che potrebbe cambiare con il passare dei giorni. Ma non capisco perché non debba essere felice di questa chiarezza: non ci sono mai stati troppi "per sempre" nel nostro rapporto e abbiamo iniziato senza troppe aspettative cercando di prendere il buono che veniva. E mi piace continuare così, con quella conoscenza dell'altro che mi da quella buona tranquillità, cercando al contempo di non crogiolarmi nella stessa.
Perché poi lì potrebbe farci lo sgambetto lei, l'abitudine. Quella triste.